Le occasioni da non perdere: intervista a un esperto italiano

In una recente intervista, un consulente strategico in ambito editoriale scolastico ci fornisce un interessante punto di vista non solo su cosa ha rappresentato l’emergenza pandemica per la scuola, ma anche su quali siano le occasioni che questa fase ci ha messo di fronte. Sua su tutti, la possibilità di ripensare il ruolo delle infrastrutture digitali nella relazione pedagogica ed educativa. Il digitale può tradursi da limite ad alleato sia degli insegnanti che degli alunni. Perchè ciò avvenga, però, sono necessari controlli, formazione e risorse che siano il risultato di una visione di insieme e condivisa sul ruolo della scuola nel nostro paese.

Ci può riassumere quali sono state le caratteristiche principali del discorso politico sulla chiusura e la riapertura della scuola da ad oggi in Italia?

Ho l’impressione che il discorso politico sulla scuola sia stato molto distratto dall’andamento della curva epidemiologica. Mai come in questa grave situazione si sarebbe potuta cogliere l’occasione per prendere decisioni importanti per il sistema, irrimandabili ma programmaticamente rimandate. Una su tutte: la riforma dei cicli, come l’aveva delineata Berlinguer, che avrebbe finalmente risolto l’anomalia della scuola secondaria di primo grado. […] Tutto è rimasto come era prima, salvo chiedere a tutto il corpo docente di attrezzarsi autonomamente e con le proprie risorse economiche e professionali (non sempre presenti) per attivare da un giorno all’altro una didattica a distanza. Si è preferito agire su questioni di facciata, i banchi, qualche aggiustamento di organico, qualche tramezzo da buttar giù.

Questioni come per esempio il digitale?

Sì, il digitale può essere un alleato importante per pensare l’educazione del futuro, ma non se lo si immagina come la trasposizione della didattica d’aula da una postazione domestica.

Quali sono state le difficoltà maggiori nella gestione dell’emergenza? E soprattutto, quali difficoltà sono state contingenti e quali strutturali?

Molte difficoltà sono legate alle condizioni infrastrutturali. Innanzitutto, gli spazi fisici sono predisposti per una didattica tradizionale e statica, l’idea dei banchi con le ruote non era in sé sbagliata, avrebbe concesso di rendere più dinamico il concetto d’aula, peccato che questo non era l’anno giusto. In secondo luogo, c’è la questione delle architetture informatiche e dei cablaggi delle scuole. Entrambi non sono sempre stati adatti a sostenere una didattica digitale. Poi ci sono difficoltà legate alle idiosincrasie che esistono fra l’autonomia scolastica e le risorse effettivamente in mano ai Dirigenti scolastici e alle DSGA (Dirigenze dei Servizi Generali e Amministrativi). Spesso nel menagement della singola scuola il dirigente e DSGA non hanno le competenze organizzative all’altezza del compito dell’autonomia scolastica. Questo si lega a un’altra questione che è quella della formazione dei docenti. Il corpo docente non è adeguatamente selezionato e formato per gestire la complessità del mestiere di insegnare. Sono scarse le competenze culturali di base, quelle pedagogico-didattiche e scarsa è anche la propensione all’autoformazione. È paradossale che non sia stata resa obbligatoria e strutturale la formazione del personale docente.

Secondo lei l’impatto della pandemia è stato più o meno uguale per tutti i gradi di istruzione?

No. Bisogna differenziare tra gradi di istruzione e, all’interno dello stesso grado, tra indirizzi. Sappiamo per certo che in tutti i casi si è registrata una regressione dei ragazzi verso stadi di sviluppo più infantili. I bambini della scuola dell’infanzia e primaria hanno patito enormemente il venir meno della dimensione sociale e relazionale della scuola, ne hanno risentito certamente di più rispetto ai ragazzi più grandi. Nella scuola secondaria di primo grado, una scuola generalista e con enormi diversificazioni sociali al suo interno, si sono vissuti casi di famiglie che supportavano i figli al punto da ritenere l’intervento educativo a distanza insufficiente e casi in cui invece quello che la scuola riusciva ad erogare era assolutamente troppo perché mancavano i mezzi, pc, gli spazi, una cameretta in cui poter fare lezione che non fosse in condivisione con altri membri della famiglia, le condizioni familiari…Per quanto invece riguarda la scuola secondaria di secondo grado bisogna distinguere tra istruzione liceale e tecnica e istruzione professionale. In tutti questi casi la didattica sarebbe stata completamente da reinventare, cercando di superare la sola erogazione sincrona della lezione frontale, invece abbiamo riproposto l’orario settimanale tale e quale. Il risultato è stato che i ragazzi si sono spenti dietro allo schermo, nel migliore dei casi, o non si sono mai collegati, come spesso è successo negli istituti professionali.

Pensa che l’esperienza scolastica nella fase pandemica possa rappresentare un punto di svolta in qualche modo nell’isiuzione scolastica?

La pandemia poteva essere un’occasione per ripensare alcuni aspetti del sistema scolastico italiano. Per esempio, per ripensare una maggiore e più positiva interazione tra aula digitale e aula fisica. Il digitale può essere un luogo della collaborazione che finora è stato poco sfruttato a scuola. Può senza dubbio ampliare le possibilità dell’azione didattica e ora che docenti e studenti, entrambi scarsamente consapevoli da un punto di vista digitale, hanno acquisito maggiore dimestichezza, si possono immaginare scenari molto interessanti.

La scuola francese di fronte al Covid. Intervista a un esperto di educazione francese

Di seguito riportiamo l’intervista a un docente di Scienze dell’ Educazione e della Formazione dell’Università di Bourdeux, svolta il 19 Novembre 2020. Dall’intervista emergono interessanti prospettive riguardo a come la fase pandemica abbia svelato alcuni paradossi relativi al sistema scolastico francese, molto caratterizzato dalla retorica dell’ uguaglianza che però non riesce tradursi all’ atto pratico in una scuola effettivamente egualitaria. Ciò nonostante, e in modo inaspettato, la chiusura scolastica a cui ha costretto l’emergenza sanitaria sembra condurre alla messa in discussione di alcune gerarchie e rigidità e ridisegnare nuove e più orizzontali relazioni pedagogiche.


Quale è stato il discorso politico sulla scuola da Marzo ad oggi?

La chiusura della scuola non è mai stata messa in discussione e i politici l’hanno giustificata come l’unica scelta possibile. La cosa sorprendente è stata relativa a un’evoluzione del discorso sulle disuguaglianze scolastiche: un termine che era scomparso dai testi e discorsi ufficiali in Francia da almeno 20 anni. È durato però una parentesi di 2 o 3 mesi. Alle parole in questo senso del Presidente della Repubblica hanno fatto eco quelle del Ministro dell’ Educazione Blanquer. Inoltre, per la prima volta dopo molto tempo sulle call of papers o call of recherche c’era come asse tematico quello delle disuguaglianze educative. Quest’attenzione è durata però due o tre mesi e poi si è tornati a discorsi più pragmatici. I discorsi sono ruotati attorno al fatto che la chiusura delle scuole penalizzasse soprattutto il mondo economico e della produzione perché impediva ai genitori di andare a lavorare.

Il tema della conciliazione ha avuto la meglio su quello delle disuguaglianze?

Si, ma mi sarei stupito del contrario. Molte ricerche hanno dimostrato che la pandemia ha avuto l’effetto di rendere note cose che c’erano già prima ma che prima non erano così evidenti. Dunque, sguardi esperti ci dicono che è sempre stato così anche se prima lo si vedeva meno.

Al netto del mondo accademico, cosa è successo nel dibattito pubblico?

Come spesso capita i mass media hanno riportato quello che i politici hanno messo in evidenza. Io non mai avuto così tante interviste in vita mia. Ne ho fatte 10 o 12, tutti si sono interessati alle disuguaglianze scolastiche. Come per la sanità, anche per la scuola i discorsi si sono concentrati sulle mancanze della scuola attuale: mancano insegnanti e le condizioni non solo tali da assicurare la sicurezza sanitaria. Altro fattore rivoluzionario è che al di là delle disuguaglianze è stata menzionata la questione delle condizioni materiali dell’edilizia scolastica.

Gli scioperi che ci sono adesso sono su questo aspetto?

Si, ma anche per le altre leggi che limitano le libertà pubbliche. In questi giorni stanno mettendo a punto un grande progetto di riforma sulla ricerca su cui tutti sono in disaccordo. Ieri è uscito un comunicato dei presidenti delle università -che non sono fra i soggetti più rivoluzionari –i quali hanno votato una mozione (non so neppure quanto tempo è passato dall’ultima volta che è successo) di sfiducia a questa nuova legge. Si sciopera anche per una terza cosa: la sicurezza pubblica. All’interno della legge sulla ricerca si pongono al corpo docente dei limiti di espressione di opinioni politiche e sociali, disponendo pene che arrivano fino alla prigione. In questa legge si formalizza il divieto di filmare la polizia durante le manifestazioni, ma il diritto della polizia di filmare e registrare a tempo indeterminato tutto ciò che succede per strada. Io non sono il solo a capire che sono legate alla pandemia, nel senso che il governo approfitta della situazione per fare passare delle misure che diminuiscono l’aspetto democratico di questo paese.

A quale tipo di disuguaglianze si è fatto riferimento nei disorsi pubblici e politici?

A tre tipi di disuguaglianze. in primis quelle digitali. La frattura digitale era la cosa più facile da dire: non costa molto parlarne e tutti sono d’accordo. Ma per una volta si parlava anche di disuguaglianze socio-economiche. Ci si rende conto ora che le disuguaglianze socio-economiche delle famiglie possono incidere molto pesantemente sulle carriere scolastiche. In terzo luogo ci si riferiva alle disuguaglianze geografiche, perché ci sono le zone bianche, territori non raggiunti dalla rete informatiche.

Questa pandemia segnerà un punto di rottura nel sistema scolastico?

Io penso di sì, ma guardando al passato potrei essere pessimista: le evidenze sulla disuguaglianza non hanno dato luce a cambiamenti politici tali da mettere la scuola al centro, e non le imprese o l’esercito che sono spese più importanti. Ma all’interno della scuola con la S maiuscola ci sono dei margini. Secondo me il fatto che durante la pandemia si siano distese le relazioni pedagogiche è importante. Molti presidi, dirigenti, genitori dicono che sono stati sorpresi positivamente dal fatto che al di là dello schermo non ci sia solo un rappresentante del sapere  istituzionale ma una persona che ha le proprie difficoltà nell’accendere il computer, che ci sia qualcuno con una casa, che ha le difficoltà di tutti, che prende il caffè alla mattina. La scuola virtuale ha messo in luce quest’aspetto umano che in Francia è una cosa nuova. Forse quando si ritornerà a una situazione normale (me lo auguro), quest’esperienza in alunni e insegnanti lascerà delle tracce. Dalla parte degli insegnanti riguardo all’empatia. Spesso si può trovare la spiegazione di alcune situazioni nella conoscenza un po’ più intima degli studenti. È importante e tanti insegnanti lo capiranno. Dalla parte degli studenti, quello che emerge è che più la relazione è rigida e mette pressione e più gli studenti tendono a resistere. Con l’ambito virtuale questa pressione scompare e molti studenti si responsabilizzano perchè si devono gestire da soli. Escono dalla visione di studenti viziati che devobo essere raddrizzati (visione che non ha mai funzionato).

Ultima domanda: come hanno recepito e come sono stati formati gli insegnanti nella prima fase pandemica?

Come in Italia all’inizio si sono tutti arrangiati, hanno cercato soluzioni…abbiamo statistiche su questo. I mezzi dati a disposizione a livello nazionale non erano adeguati . Non ci cono state formazioni ufficiali delle famiglie o del corpo docene. Ci sono stati casi di famiglie che si aspettavano di ricevere per posta i compiti a casa, perché non avevano connessione e non avevano capito che dovevano prendere contatti tramite mail o whatssapp. Quindi per mesi alcuni bambini non hanno fatto scuola. C’è stato a un certo punto della pandemia il “teaching bushing”, alcuni rappresentanti del governo hanno detto che c’erano degli insegnanti che ne hanno approfittato per non fare nulla, ma non hanno detto quale fosse questa percentuale. Secondo me non sono stati tanti.

La scuola ha riaperto per tutti le ultime due settimane di giugno, giusto?

Si, ma molti genitori non hanno mandato i figli a scuola. Secondo me era una riapertura spinta da questioni economiche, dall’alto della Confindustria francese. La pandemia ha reso evidente una sfumatura molto importante dell’istruzione pubblica obbligatoria. Gli studenti possono non andare a scuuola, c’è il diritto alla didattica a casa: i genitori che hanno deciso di non mandare a scuola i figli si sono basati su questo. Questa fase ha messo in risalto questo fenomeno sociologico che è “l’home schooling”, ovvero i figli che vengono istruiti a casa. Riguarda forse l’1 % della popolazione scolastica ma secondo me aumenterà.

Il punto di vista del dirigente scolastico. Un esempio italiano.

Di seguito riportiamo un’intervista, rilasciata il 15 di Ottobre, da un dirigente scolastico di un istituto comprensivo (primaria e secondaria inferiore) italiano. Dal contenuto dell’ intervista emergono alcune osservazioni. Le misure preventive di contenimento e tracciatura del virus sono state applicate dalle scuole adattandole alle peculiarità dei singoli istiuti. La composizione, la numerosità delle classi, le condizioni della struttura, il contesto in cui la scuola è inserita, le risorse culturali e finanziarie di cui dispone incidono fortemente sulla modalità di applicazione delle misure e sulle conseguenze che queste hanno sulla dimensione pedagogica e relazionale. La caratteristiche delle singole scuole giocano un ruolo fondamentale nel determinare la continuità pedagogica e formativa, il mantenimento di una routine quotidiana serena in cui i bisogni di studenti, insegnanti e genitori vengano tenuti in considerazione nel rispetto delle norme ignienico e sanitarie a tutela della salute di tutti. Tale caratteristcihe si inseriscono però in una dimensione piu strutturale che determinail sistema scoalstico italiano nel suo funzionamento complessivo e che ha delle ricadute significative nella quotidianità degli istituti. L’ intervista qui di seguito riportata fa luce su questi aspetti, colmando almeno parzialmente la distanza tra i decreti scritti e la loro implementazione quotidiana.

Come sono state accolte da lei e dai suoi collaboratori le misure di contenimento del virus da applicare alla scuola?

Sul momento è prevalsa l’ ansia, ma poi non penso che si sarebbero potute fare le cose molto diversamente da come sono state fatte. E ci siamo messi al lavoro. Diciamo che la tempistica non ha aiutato, ma noi fortunatamente non abbiamo avuto il problema dei banchi o degli arredi. Nella primaria i bambini ci stanno tutti perchè negli anni ho cercato di fare classi non troppo numerose. Attualmente sono al massimo di 23/24 bambini. Questo ha garantito una maggiore facilità nell’ organizzazione. Abbiamo privilegiato le classi prime e li abbiamo messi nelle aule piu grandi, perchè è giusto che stiano insieme, che si conoscano. Per le seconde e le terze abbiamo inventato la cosidetta aula aggiuntiva: qui c’è un computer collegato alla classe, in cui gli studenti vanno a turno (2 o 3 in base a quanti sono in classe quel giorno) e seguono la lezione. E’una soluzione un po’ creativa, però è sensata. Nel caso della secondaria, abbiamo tarsformato la palestra piu piccola in un’aula e anche i laboratori, nonstante fossero pochissimi e addirittura anche la mensa.

Sta funzionando quindi l’ aula aggiuntiva?

Sta funzionando. Devo dire che ho dei collaboratori validissimi, alcuni con ottime competenze informatiche, altrimenti non ci saremmo riusciti. La scuola in questo ha fatto molto rete, c’è un gruppo solido di persone che conosco e che si conoscono da anni. Mi aiutano tantissimo, soprattutto su alcuni aspetti tecnici (ndr: il dirigente è in carica da piu di 5 anni e lavora nello stesso istituto da quasi 20 anni)

I genitori, le famiglie, come hanno accolto i cambiamenti?

Devo dire la verità: tutto sommato non ci sono state grosse resistenze. La cosa piu complicata, che crea un po’ di tensione, è l’avvio dei colloqui online. Non è proprio semplice: i genitori hanno delle pretese immediate, ma noi abbiamo bisogno di tempo per formare i docenti. I genitori avrebbero voluto i colloqui con gli insegnanti a inizio anno, ma non era così semplice. Noi abbiamo fatto la formazione a giugno, ma poi sono cambiati tantissimi insegnanti. Non è semplice. Adesso ne sono cambiati venti nel giro di una settimana, non riesco a formarli tutti subito. Abbiamo dato loro un vademecum su ciò che è stato fatto. La cosa piu gravosa è questo vivere alla giornata, mentre la scuola ha bisogno di certezze, di pianificazione.

Come è cambiato il suo lavoro?

Io sono sempre collegato al computer a monitorare la situazione. I miei riferimenti sono l’ Ufficio Scolastico Territoriale di Milano, l’ Ufficio Scolastico Regionale e poi anche il Ministero che manda via posta tutta una serie di comunicazioni. Questi sono i tre riferimenti principali. Diciamo che c’è stato un aggravio burocaratico: ripensare tutti i momenti come gli intervalli, i pranzi. Abbiamo fatto una convenzione con l’ oratorio per portare i bambini a giocare in cortile così ci stanno tutti. E poi ricevo tantissime mail dai genitori, che sono preoccupati o mi chiedono cosa devono fare. Io sono anche referente Covid, perchè ho pensato che un ulteriore aggravio ai docenti andasse risparmiato. Inoltre prima riuscivo a seguire molte più cose. Le faccio un esempio: nel pomeriggio mi capitava di guardami qualche sentenza, qualche ricorso per bocciatura, perchè anche quello fa parte del nostro lavoro. Adesso faccio una quantità di circolari giornalieri e poi passo il mio tempo al telefono a cercare supplenti. Infatti mi sono dovuto fare aiutare da alcuni miei colleghi per la preparazione delle circolari. La priorità è non lasciare le classi scoperte. A Milano, molti vengono dal Sud, quindi devi dar loro il tempo di arrivare. Non è così semplice, ci sono mille problematiche e poi, come sappiamo, non è sia un lavoro ben pagato. Tantissimi magari trovano di meglio e ti lasciano.

Durante il lockdown, come è stata accolta la didattica a distanza dalle famiglie?

Non nascondo le difficoltà: ci abbiamo messo un po’ per organizzarci. Alle medie siamo riusciti a fare un sistema unico, unitario con la piattaforma. Alle elementari non è stato possibile. Ci sono stati dei docenti che hanno fatto da traino, un po’ piu esperti degli altri, li hanno guidati. Alcuni hanno usato la piattaforma, altri zoom perchè si trovavno meglio, alcuni sono partiti il giorno dopo perchè erano tecnologicamente piu avanti, altri li ho dovuti sollecitare a lungo. Alcuni addirittura hanno usato WhatsUp, utile soprattutto con gli alunni stranieri. Abbiamo anche dovuto distribuire 100 computer. Il percorso è stato irto di difficoltà, non eravamo preparati. Nelle famiglie complessivamente non ci sono state grandi tensioni, ma sarei disonesto se le dicessi che tutto ga funzionato bene. Per alcuni studenti la ripresa è stata durissima. Alla fine di studenti che non sono tornati del tutto, completamente scomparsi, ce ne sono stati proprio pochi, ma questi sono proprio andati via dall’ Italia e non sono mai tornati. I docenti mi segnelavano chi non si presentava mai alle lezioni e allora io cercavo di mettermi in contatto con la famiglia: un lavoro certosino per inseguire e coinvolgere tutti. Devo dire che in questo i rappresentanti di classe sono stati preziosi perchè facevano da filtro. In alcuni casi avevamo a che fare con realtà sociali degradate, in cui oltre al computer abbiamo divuto fornire anche la connessione. Ma è arrivata tardissimo, mi sono vergognato. I finanziamenti per acquistare connettività sono arrivati ad Aprile inoltrato, per cui ora che fai il contratto…

Qual è stato l’ ostacolo piu grande al riavvio e al proseguimento delle attività didattiche?

Non credo che sia una grande sorpresa: il fatto che ci sono stati dei ritardi gravissimi nelle nomine dei docenti. Io mi soo ritrovato con quasi venti docenti in meno (che sono andati in pensione l’ anno scorso) e, in cambio, me ne sono arrivati due o tre. Le graduatorie cambiano ogni tre anni e quest’ anno hanno addottato un sistema nuovo, che però non era mai pronto. Allora io prima ho iniziato a chiamare dlla vecchia graduatoria, però magari i docenti venivano due o tre giorni e poi li chiamaba il provveditorato. Questo giro di walzer è finito l’ altro ieri (ndr 13 Ottobre 2020). Questo lavoro mi ha assorbito completamente. La segregeria fa le convocazioni via e-mail, ma poi io voglio parlarci, ed è un lavoro gigantesco: non tutti risponon, non tutti vengono, quindi devo scorrere la graduatoria, chiamare quello successivo e così via. Io ho una prima elementare che in un mese ha avuto quattro maestre. Questo vuol dire che fino a poco fa questa classe aveva ancora l’ orario ridotto. Era impossibile pensare di tenere il tempo pieno con questo turn-over. Addirittura una volta, il martedì sera alle 9, mi son andati via cinque docenti. E il mercoledì mattina chi viene? Per fortuna avevamo l’ orario ridotto. Io avevo pressioni dai genitori, ma non ho ceduto, proprio per evitare di trovarmi in una situazione così con il tempo pieno. E’ un problema che si presenta ogni tre anni, non è legato al Covid, il Covid ha solo aggravato una situazione già grave. Si tratta di “coazione a ripetere”: la tentazione di fare sempre la stessa cosa, anche se sbagliata. E’ stato un vero incubo questo balletto dei supplenti, nell’ emergenza, con tutti i genitori in ansia, i docenti preoccupati. Io penso di aver fatto 200 telefonate per avere poi 20-25 insegnanti

Quali sono stati i punti di forza della sua scuola?

Io ho dei collaboratori eccezionali, che si impegnano tantissimo e sono disponibili a tutte le ore, un nucleo storico. Io son qui da tanto tempo, ho creato dell relazioni solide. Non oso pensare ai presidi che hanno iniziato quest’ anno o anche solo l’ anno scorso. Noi siamo un gruppo coeso, questa è la nostra forza.

Secondo lei il grado di autonomia concesso alle scuole in questo frangente è stato adeguato?

L’ autonomia vera dipende dai finanziamenti, è una questione di risorse economiche. E’ stato dato questo organico aggiuntivo, ad ogni istituzione scolastica, per dare piu personale. Ma io mi sarei aspettato molto piu personale. Qui ci hanno dato un docente in piu per la media (ndr una delle piu numerose di Milano) e uno per i due plessi delle primarie. Il criterio era la numerosità, poi si teneva conto anche del numero dei disabili, ma noi abbiamo dei plessi veramente numerosi e abbiamo avuto un docente, quindi non saprei cosa pensare.

A proposito degli studenti disabili, siete riusciti ad accoglierli tutti?

Sì, però tenga presente che anche quello degli insegnanti di sostegno è un problema annoso. Non ci sono gli specializzandi e allora cosa succede? Alla primaria è relativamente piu semplice perchè si chiamano gli insegnanti di una sola classe di concorso, per le medie, invece, devi incrociare tutte le graduatorie (italiano, inglese, matematica…) e vedere chi ha piu punti. E’ un lavoro titanico, fa perdere moltissimo tempo. Noi abbiamo provveduto a coprire i casi piu gravi, alcuni di quelli meno gravi, mi vergogno a dirlo, sono rimasti scoperti. Abbiamo cercato di compensare con gli educatori, perchè alcuni disabili ne hanno diritto ed è un servizio che fornisce il comune. Insomma abbiamo cercato di fare il meglio con le risorse che abbiamo. Comunque nessuno è rimasto a casa da scuola.